Alfano e Letta: “Meglio andare al Quirinale Silvio, dimettiti prima del Rendiconto”

“Silvio è finita”. Dopo un pomeriggio passato a Palazzo Grazioli con Alfano, Letta e i capigruppo del Pdl, il Cavaliere è sul punto di mollare. Se il pressing del gruppo dirigente del Pdl sortirà il suo effetto, oggi stesso Berlusconi salirà al Colle per rassegnare le dimissioni.

Si conclude così, in maniera drammatica, una lunghissima giornata, che ha visto le residue certezze del premier cadere una ad una. Fino al colpo annunciato alle 20.22 dall’agenzia TmNews – l’uscita dal Pdl di Gabriella Carlucci 1 – che investe in pieno il capo del governo lasciandolo “incredulo”. Da quel momento tutto precipita, finché anche Bobo Maroni, da Fabio Fazio (video 2), non certifica la crisi in atto: “La maggioranza non c’è più ed è inutile accanirsi”.

L’epilogo tuttavia non è scritto, e potrebbe rivelarsi più difficile del previsto. Perché il Cavaliere ancora a tarda notte puntava i piedi, minacciando persino una grande manifestazione a Roma contro i “ribaltonisti”. Pronto a chiedere il voto anticipato a Napolitano nel caso a Montecitorio la maggioranza, come sembra, dovesse venir meno.

“Io non mi vado a dimettere – ha ripetuto
fino all’ultimo nella riunione a via del Plebiscito – perché ci conviene andare a votare a gennaio restando noi a palazzo Chigi”. Berlusconi è pronto a tutto, persino ad avanzare un’offerta spericolata al capo dello Stato. “Se ci dà le elezioni noi possiamo garantirgli un secondo mandato al Quirinale nel 2013”.

Gli ultimi calcoli fatti durante il vertice non consentono più margini di manovra. Nella migliore delle ipotesi discusse davanti al premier – migliore ma irrealistica – maggioranza e opposizione sono pari a 314 voti (a cui aggiungere Alfonso Papa agli arresti e Gianfranco Fini che non vota). Trecentoquattordici voti, ma in realtà nel Pdl c’è un’intera area di forzisti della prima ora in subbuglio. Non solo Bertolini, Stracquadanio e i firmatari della lettera dell’Hassler. C’è una zona grigia di malessere che sfugge a ogni certezza. Persino Denis Verdini, che da un anno ha saputo garantire al capo del governo una precisione chirurgica sui numeri, stavolta sembra abbia alzato le mani. Non ci sono certezze.

“Rischiamo la slavina”, gli hanno ripetuto in coro capigruppo e ministri. “Non puoi fare la fine di Prodi – gli dicono – e cadere per un voto in Aula. Sarebbe un suicidio politico. In questo modo non avresti più titolo di parlare, l’iniziativa ci sfuggirebbe completamente di mano”. Il premier, messo alle strette, ancora non ha deciso cosa fare.

L’hanno sentito parlare di tre fantomatici deputati dell’Udc e di uno del Pd in arrivo nel Pdl. Ma i presenti si sono guardati negli occhi senza crederci. Dice di temere per le sue aziende. Racconta che anche i figli sono preoccupati per le ripercussioni su Mediaset, gli chiedono di non mollare.

Ma la realtà è senza scampo. Verdini calcola in 23 deputati l’area del malcontento. Gente che magari domani pomeriggio potrà anche votare a favore del Rendiconto, ma che non garantirà di proseguire l’esperienza di governo. È dunque finita per Berlusconi, ma a questo punto gli uomini al vertice del Pdl stanno facendo di tutto per convincerlo a non trascinare a fondo tutto il centrodestra. Per farlo c’è un unico modo: “Devi anticipare la crisi di governo andando a dimetterti e negoziando le condizioni per il nuovo governo”.

Un’impresa resa più difficile dopo la chiusura fatta da Pier Luigi Bersani a un esecutivo guidato da Gianni Letta. Una chiusura a cui è sembrato accodarsi anche Pier Ferdinando Casini che ha detto chiaro e tondo che un nuovo governo non può nascere senza l’apporto del Pd. “Se Casini va dietro Bersani e dice di no a Letta – ragiona preoccupato un ministro del Pdl – è davvero finita. Vuole dire che ha stretto un patto con il Pd per farsi eleggere al Quirinale. Allora ci sono soltanto le elezioni”. Quanto a Mario Monti, Berlusconi dicono che non potrebbe mai accettarlo.

A tarda notte nel corso del vertice viene elaborata un’ultima offerta da portare a Casini. Quella di un governo Alfano-Maroni, un ticket che aprirebbe una nuova fase con un’offerta di collaborazione al terzo polo. Al terzo polo, non al Pd. In questo modo, sperano i dirigenti del Pdl, si ricompatterebbe intanto il centrodestra esistente, sedando la ribellione dei deputati. Inoltre si metterebbe in difficoltà Casini, che avrebbe difficoltà a rifiutare quel nuovo esecutivo senza il Cavaliere che proprio l’Udc chiede da un anno a questa parte.

Ma questi sono scenari spericolati visto che, al momento, l’ipotesi elettorale sembra quella più accreditata. Il ministro Romano, uscito dall’Udc, spinge per il voto anticipato. E con lui tutti i falchi del Pdl. Persino Gianfranco Rotondi ha minacciato Berlusconi di non dare il via libera a un nuovo governo con l’Udc. Ha raccolto 27 firme di parlamentari su una lettera in cui si accusa Berlusconi di aver tradito il berlusconismo. Sono i paradossi delle ore di crisi.