Bersani: ‘Abbiamo vinto’. Grillini primo partito

(di Aldo Puthod) – ROMA – In Sicilia prevale per un soffio Rosario Crocetta, crolla di 20 punti il Pdl, che sosteneva Nello Musumeci, e vincono due partiti: quello del non voto e quello di Grillo. Per Palazzo d’Orleans il candidato di Pd e Udc passa però con il 30,5% e quindi senza una maggioranza certa a Palazzo dei Normanni che gli consenta di fare subito il governo.
Ma se la vittoria del candidato dell’alleanza-laboratorio tra democratici e cetristi non è completa, è il quadro politico ad uscire fortemente segnato dal boom grillino e dell’astensionismo. Come andrà a finire la partita Crocetta lo si vedrà nei prossimi giorni: un’alleanza con Micciché, vero arbitro data l’indisponibilità di Grillo ad alleanze, appare l’unica praticabile, ma l’interessato è pronto anche a tornare alle urne (“Se qualcuno mi dovesse fermare allora si va al voto e sono convinto che questa voltà sarò eletto con il 60% dei consensi”). Si tratta in ogni caso, come dice Bersani, di “risultati storici”.

E lo è davvero se si pensa al cappotto 61 a 0 che subì il centrosinistra nel 2001, ma anche al tratto anti-mafia che rivendica il nuovo governatore: “Si è rotto un muro di gomma, per la prima volta è stato eletto un candidato che ha scelto come valore fondante la lotta alla mafia”. I grandi sconfitti sono i partiti tradizionali.

Non solo il Pdl, che ne subirà le più immediate conseguenze. Perché anche quelli che hanno vinto non sono usciti indenni (persino il Pd ha lasciato 5 punti sul campo) e perché tutti dovranno fare i conti con il forte segnale che arriva dall’astensionismo siciliano. Meno di un siciliano su due è andato a votare e Crocetta diventa governatore con il voto di circa il 15% dell’elettorato totale.

Nemmeno Grillo è riuscito a incidere un blocco che ha rifiutato insieme la politica e la cosiddetta anti-politica. Anche questo dovrà far riflettere. Per il Movimento 5 Stelle è stata una vittoria limpida.

Cancelleri ha beneficiato del voto disgiunto e il movimento è balzato dal 2-3% del 2008 (politicamente è ormai giurassico) al 18% attuale. Soprattutto è oggi il primo partito dell’isola, in barba a vincitori (Pd) e vinti (Pdl). Quando Grillo parla di boom ha ragione da vendere. E stavolta il botto dev’essere arrivato alle orecchie di tutti. Il radicamento nazionale dei grillini è tale, ma questo era ormai chiaro, che nessun sistema elettorale potrà sbarrargli la porta del Parlamento. Al massimo si potrebbe tentare di “contenerlo” con una riforma che però, bozza attuale alla mano, manifesta forti rischi di ingovernabilità. D’altro canto, l’attuale porcellum potrebbe portare, vista la forza in alcune zone dei grillini, ad una ingovernabilità del Senato, dove il premio è appunto regionale. E a quel punto si potrebbero aprire scenari greci, con tanto di possibile ritorno immediato alle urne.

E Casini ha tutte le ragioni per invocare la validità del laboratorio siciliano: “Da lì è arrivata un’indicazione chiara e semplice: è ineludibile il rapporto tra progressisti e moderati che mette al bando gli estremismi e i populismi ed è l’unico antidoto all’ antipolitica”. Perché Grillo, argomenta, può arrivare ad un 25% nazionale e se si vuole contrastarlo servono alleanze vincenti. Il Pd, dice, eviti di ragionare per ‘sommatorie’ perché Grillo ha “rubato” voti a Idv e Sel. Vendola vede naufragare il progetto tutto di sinistra su cui aveva puntato in Sicilia: ma invita il pd a non cantare vittoria.

Perché, visto il boom delle astensioni, “In Sicilia non ha vinto nessuno” e l’siola è “sull’orlo del baratro”. Da Vendola arriva anche l’ennesimo stop alle alleanze con Casini, accusato di “camaleontismo”. Una posizione con la quale il pd docrà fare i conti. Chi è sempre più nei guai è il Pdl. Nello Musumeci è uscito sconfitto dalla prova elettorale e il partito ha perso oltre 20 punti, quasi i due terzi dei voti. Un’altra ferita in un Pdl sempre più dilaniato. Alfano non è riuscito a portare dalla sua parte i moderati in campo nazionale (“Se i toni sono quelli di Berlusconi – dice oggi Casini – è ridicola ogni ipotesi di rapporto con il Pdl”) e neanche nella sua Sicilia (dove il Cavaliere ha brillato per l’assenza). Il segretario però tiene duro (la colpa della sconfitta, dice, è “del centrodestra diviso”) e conferma sia la data delle primarie (il 16 dicembre) sia la propria candidatura. Il rischio a questo punto è che le primarie diventino il terreno di uno scontro anche personale, quasi una sorta di ordalia, dall’esito, per la sopravvivenza del partito, difficilmente prevedibile.