Buono il primo. Gli esordi disneyani

Walt Disney era uno scienziato. La sua scienza era l’animazione. Negli anni Venti si era cimentato nelle Alice Comedies – tecnica mista con una bambina in carne e ossa che agiva in un mondo animato – e aveva perso i diritti di Oswald. Proprio questo apparente fallimento diviene in realtà la svolta della sua carriera, perché è dalla perdita di Oswald che Disney pensa di creare un personaggio nuovo, tutto suo, che avrebbe richiamato Oswald nelle sembianze: Mickey Mouse – inizialmente il suo nome doveva essere Mortimer ma Lillian Disney suggerì a Walt il nome Mickey.
Mickey Mouse – o Topolino – era Walt Disney stesso. Un dandy, un uomo ancora troppo legato all’infanzia; un ragazzino che riesce a trasformare gli oggetti della quotidianità in sogni, che non si arrende nemmeno di fronte a chi è palesemente più forte di lui. Mickey è più furbo e più ottimista. È l’americano perfetto, proprio quello che il pubblico cerca. È politically correct ed è simpatico. E fa ridere e non fallisce mai.
Steamboat Willie (1928), il primo cortometraggio della serie Mickey Mouse, conclusasi nel 1953, è un piccolo grande concerto di esperimenti e di idee tanto innovative quanto geniali. Non c’è una trama vera e propria ma solo la voglia di divertirsi e di ridere. Topolino ride con la fidanzata Minnie (che è come lui a parte una gonnellina e un cappellino), trasforma in organetto una mucca e usa le pentole al posto della batteria. Fin dalla sua prima apparizione, quindi, comprendiamo che la sua forza sta nella capacità di trasformare la realtà in sogno. Capacità che culminerà nell’Apprendista stregone, ove Topolino sogna addirittura di governare le maree e di accendere le stelle. Questi in realtà sono i desideri di Disney, che le stelle le ha accese sul serio: si tratta dei suoi personaggi, che grazie a lui sono diventati delle vere stelle, degli attori a tutti gli effetti, sebbene siano solo personaggi immaginari. Ma il loro successo è ineguagliabile, così come lo è la loro longevità.
In Steamboat Willie è la natura stessa che canta e che diventa magica grazie al sogno: la mucca diventa un organetto, le pentole diventano delle batterie, i denti della mucca diventano i tasti di uno xilofono. Topolino, insomma, reinventa gli oggetti, si accontenta di quello che ha, di un’orchestra povera, semplice, ma la trasforma così come un bambino, giocando, può trasformare una penna in una navicella o una gomma rettangolare in un uomo che cammina con le gambe divaricate. Disney sa come sognano i bambini. Il suo sogno è allo stesso tempo reale e surreale.
Ma il sogno deve finire. “Torna con i piedi per terra, Topolino” – sembra dire Disney nel finale. A risvegliare il simpatico protagonista è proprio Gambadilegno, suo acerrimo nemico, che lo rispedisce a pelare le patate. Topolino è sprecato per un ruolo così umile. Lo stesso accade nell’Apprendista stregone: lì Yen Sid lo rispediva a pulire per terra, dopo che Topolino aveva combinato solo disastri, usando la magia a sproposito, sognando troppo e incapace di far tornare tutto com’era prima.
La musica è il leitmotiv dei primi cortometraggi disneyani. Lo si capisce anche da un altro celebre esordio, The Skeleton Dance (1929), primo film delle Silly Symphonies, musicato da Carl W. Stalling e disegnato da Ub Iwerks.
The Skeleton Dance è molto diverso da Steamboat Willie. Nel primo film con Topolino i toni erano scherzosi, quasi infantili e semplicemente giocosi e divertenti. Qui invece siamo di fronte a una tematica del tutto differente. Innanzi tutto l’ambientazione: un cimitero, dunque un tòpos tipicamente horror.
Gufi, pipistrelli, coyote, gatti neri e dispettosi che si tirano i baffi: è l’introduzione, perché il bello deve ancora venire. Da dietro una lapide sbuca uno scheletro, che fa un giro di ricognizione per assicurarsi che il campo sia sgombro. Non lo è, cosicché si stacca la testa e la lancia sul gufo che ancora disturba la quiete della notte.
Poi arriva la danza degli scheletri. Sono in quattro e sono dei perfetti ballerini: danzano in cerchio, si allungano, usano le costole come xilofono (anche loro!), si scompongono e si ricompongono; sfidano le leggi della logica: è così che deve essere un cartoon – elastico, malleabile, mutevole. Il personaggio di un cartoon deve assomigliare alla plastilina e deve mutarsi in qualsiasi oggetto possibile. Il cartoon è invero amorfo.
La danza degli scheletri termina al cantare del gallo, quando il sole sta per sorgere, il che sarà poi ripreso in Una notte sul monte Calvo: il sabba infernale termina all’arrivo della luce, quando le creature infernali richiamate dal demone Chernabog odono le campane e la conseguente Ave Maria.
Dunque Stemboat Willie e Skeleton Dance ruotano attorno alla musica, alla capacità di costruire degli strumenti, di inventare la musica anche con gli oggetti che meno sono indicati per suonare – come le costole di uno scheletro o la coda di una mucca che diventa un organetto.
La magia è insomma nel quotidiano, è intorno a noi – dice Disney. E questo concetto fondamentale sarà ripreso anche nei film successivi: accade in Cenerentola con la costruzione del vestito; accade grazie alla magia di Merlino, che rende simpatica – o antipatica – perfino una zuccheriera e un gufo. Tutto, in sostanza, può essere animato e reinventato, reinterpretato. Disney lo sa fare perché crede nella magia, crede nella possibilità che la realtà sia essa stessa una magia, che la vita stessa sia una magia. Topolino non fa altro che incarnare questa concezione con simpatia e con ottimismo. Ciò nonostante, il momento di tornare a pelare le patate arriva, prima o poi, e il sogno svanisce. Ma l’importante è non abbandonarlo mai e rifare ogni volta un altro sogno, più bello del precedente. Questo è possibile grazie a Walt Disney, dai corti di Mickey Mouse alle Silly Symphonies fino ad arrivare ai lungometraggi e a Disneyland: il sogno è il vero sovrano; un sogno che deve realizzarsi, perché Disney ha nel proprio DNA l’ottimismo e crede nei sogni e fa sperare e rincuora la gente, che lo ama e sogna con lui e con Topolino in una perenne danza al chiaro di luna con quattro scheletri molleggiati.

3 Risposte a “Buono il primo. Gli esordi disneyani”

  1. bellissimo articolo, complimenti…poi quando si parla di ottimismo… mi sento Walt anche io !

  2. mi ricordo ancora: alle scuole medie scrissi un tema sui fumetti e citai più volte Walt Disney. Con mio grande disappunto il prof di Italiano si prese la fissa di correggere in rosso la parola Walt con Walter….per me era assurdo…per lui doveva essere virglolettato perchè il vero nome era Walter Elias Disney…diciamo che in quel momento anche io mi sono accorto di avere un DNA ottimista…..grunf !! 🙂

  3. “i sogni si avverano, se si ha il coraggio di crederci” Walt Disney

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