A chi non è capitato in questi giorni di feste, passeggiando tra le file degli scaffali in un qualsiasi supermercato di imbattersi in mille e più versioni del classico panettone natalizio, da quello senza canditi alle versioni più sofisticate e stravaganti con ripieni a volte difficili anche da immaginare e sopratutto da scegliere…
Sicuramente il panettone e uno dei dolci simbolo del Natale ma in pochi conoscono la sua storia che si perde nei meandri delle leggende e della fantasia.
La più famosa narra che il panettone sarebbe nato alla corte di Ludovico il Moro, signore di Milano nel lontano XV secolo. Era la Vigilia di Natale quando, in occasione del banchetto, il cuoco ufficiale della famiglia Sforza bruciò inavvertitamente un dolce. Per recuperare la situazione Toni, lo sguattero che lavorava in cucina, decise di utilizzare un panetto di lievito che aveva tenuto da parte per Natale. Lo lavorò aggiungendo uova, uvetta, canditi e zucchero, ottenendo così un impasto lievitato e soffice.
Il dolce venne così tanto apprezzato che si decise di chiamarlo il “pan di Toni” in onore dell’umile sguattero che aveva creato un simile capolavoro.
Squarciando il velo delle leggende, Pietro Verri, nella sua Storia di Milano, narra di un’antica consuetudine che nel IX secolo animava le feste cristiane legate al territorio milanese: “Il giorno del Santo Natale i padri di famiglia distribuivano, sin d’allora, i denari; acciò tutti potessero divertirsi giuocando. Si usavano in quei giorni dei pani grandi; e si ponevano sulla mensa anitre e carni di maiale; come anche oggidì il popolo costuma di fare»
Nel XV secolo, come ordinato dagli antichi statuti delle corporazioni, ai fornai che nelle botteghe di Milano impastavano il pane dei poveri (pane di miglio, detto pan de mej) era vietato produrre il pane dei ricchi e dei nobili (pane bianco, detto micca). Con un’unica eccezione: il giorno di Natale, quando aristocratici e plebei potevano consumare lo stesso pane, regalato dai fornai ai loro clienti. Era il pan di scior o pan de ton, ovvero il pane di lusso, di puro frumento, farcito con burro, miele e zibibbo.
La più antica, e certa, attestazione di un “Pane di Natale” prodotto con burro, uvetta e spezie si trova in un registro delle spese del collegio Borromeo di Pavia del 1599, quando tali “Pani” furono serviti durante il pranzo natalizio agli studenti.
Alla fine del Settecentosi verificò una novità inattesa: la Repubblica Cisalpina s’impegnò a sostenere l’attività degli artigiani e dei commercianti milanesi favorendo l’apertura dei forni, mondo di delizie in cui guizzavano indaffarati i prestinee, e delle pasticcerie, regno incantato degli offellee. Nel corso dell’Ottocento, durante l’occupazione austriaca, il panettone diventò l’insostituibile protagonista di un’annuale abitudine: il governatore di Milano, Ficquelmont, era solito offrirlo al principe Metternich come dono personale. Il poeta Pastori, uno dei più apprezzati poeti milanesi del ‘900, cita questo tipo di panettone in una delle sue poesie.
Arrivando ai tempi moderni si può dire che si deve alla Motta di Milano la commercializzazione su scale industriale del panettone che se da una parte ciò è andato a scapito della eccellenza del prodotto dall’altra ha permesso di abbattere ogni barriera doganale rendendo impossibile per noi Italiani, da Aosta a Palermo immaginare un Natale senza il nostro dolcissimo panettone.