Ecuador sfida Londra, asilo ad Assange

(di Alessandra Baldini) – Quito sfida Londra e concede a Julian Assange l’asilo politico ma l’australiano di Wikileaks rischia l’arresto se osa mettere il naso fuori dall’ambasciata ecuadoregna a Londra. Cosa che intende fare puntualmente domenica prossima mentre il capo del suo collegio legale, l’ex giudice spagnolo Baltasar Garzon, minaccia il ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia se al suo cliente sarà torto un capello. Il braccio di ferro diplomatico si complica: Garzon ha chiesto per Assange un salvacondotto, ma il Foreign Office, dopo aver minacciato nella notte l’ambasciata ecuadoregna a Knightsbridge di un possibile raid per arrestare l’australiano (per poi fare dietrofront), ha ribadito la volontà di dar seguito all’estradizione in Svezia a dispetto della decisione di Quito annunciata dal ministro degli esteri Ricardo Patino all’insegna dell’orgoglio nazionale: “Non siamo una colonia britannica”.

Fuori dall’ambasciata a Knighstbridge, il mezzo migliaio di sostenitori di Assange hanno cantato vittoria: “El Pueblo Unito Jamas Sera Vencido”. Alcuni avevano passato la notte sul marciapiede mentre Scotland Yard, rispondendo a un tam tam sui media internazionali, aveva rafforzato la presenza attorno alla sede diplomatica dove l’australiano si era rifugiato il 19 giugno scorso una volta esauriti i tentativi di appello contro l’estradizione in Svezia che lo vuole interrogare per reati sessuali. Assange è “in grave pericolo” per il suo lavoro con Wikileaks, ha detto Patino. Se dalla Svezia dovesse venir estradato in Usa, l’hacker del Cablegate rischia il boia.

Pur rischiando la debacle diplomatica in Sudamerica dopo le tensioni con l’Argentina sulle Falkland, il governo britannico si è irrigidito: “Nessun salvacondotto ma anche nessun raid e nessun accordo segreto con gli Usa”, ha ribadito il ministro degli Esteri William Hague che in questi giorni è anche il numero uno del governo britannico mentre il premier David Cameron e il suo vice Nick Clegg sono in vacanza in Spagna. Quanto a Julian, che ha appreso della decisione ecuadoregna nell’ufficetto-dormitorio che da due mesi è diventata la sua ‘cella’, ha salutato con soddisfazione la “significativa vittoria”, ma messo in guardia i suoi sostenitori: “Le difficoltà cominciano adesso”.

Il braccio di ferro con Londra potrebbe durare a lungo, le vie di uscita per Assange sono poche e hanno costretto gli esperti ad arrampicarsi sugli specchi: Quito potrebbe nominare l’australiano ambasciatore all’Onu, o chiuderlo in una valigia diplomatica accompagnata da corriere, oppure Assange potrebbe uscire dall’ambasciata mascherato, magari da donna, e dileguarsi nei vicini grandi magazzini Harrods. Secondo Sir Christopher Meyer, ex ambasciatore britannico a Washington, l’Ecuador e il capo di Wikileaks “si sono messi in un angolo”. Come il cardinale Jozesf Mindszenty nell’ambasciata Usa a Budapest, Assange potrebbe dover restare “in eterno” nella stanzina al primo piano dell’ambasciata in cui è confinato da due mesi, ha detto Sir Christopher, e non è una buona soluzione per lui né per i suoi ospiti: “Lui è un nomade – ha detto la madre alla Bbc – e da 58 giorni non vede il sole…”.