Lo scandalo sfiora i papi

Non solo omissioni. Ci sarebbe di più. Un seminarista di 17 anni costretto a subire avance sessuali dal suo arcivescovo. Contro quel vescovo finora implicato nello scandalo pedofilia che ha travolto la Chiesa d’Irlanda per non aver vigilato su quanti accadeva, si muove dunque una nuova, pesante accusa. Emerge dal rapporto del governo irlandese sulle violenze sessuali su minori da parte di sacerdoti nella diocesi di Cloyne dal 1996 al 2009, lo stesso che ha portato il Vaticano a richiamare a Roma il nunzio apostolico, monsignor Giuseppe Laenza, per “comunicazioni”. L’arcivescovo finito nel mirino della magistratura è una delle figure più note della Chiesa irlandese, monsignor John Magee, 75 anni, segretario particolare di ben tre pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, che il 17 febbraio 1987 lo consacrò vescovo di Cloyne.

Le sue dimissioni, pretese da Benedetto XVI nel 2010, arrivarono prima dei 75 anni previsti per la rinuncia. L’accusa era di non avere controllato quanto accadeva nella diocesi. Stavolta, invece, la posizione dell’arcivescovo si aggrava. Insieme ad altri 19 ecclesiastici, Magee è chiamato in causa per abusi sessuali, o tentati abusi, su una quarantina di persone, tra cui minorenni e seminaristi. Il rapporto parla di “attenzioni” riservate da Magee al seminarista diciassettenne, in più occasioni oggetto di “approcci” giudicati “inaccettabili e inquietanti”. Accuse che hanno portato il primate irlandese, cardinale Sean Brady, a parlare di “un altro giorno nero nella storia della risposta dei vertici della Chiesa al grido dei bambini abusati da uomini del clero”. Secondo il rapporto Cloyne, poi, Magee avrebbe avuto “poco o nessun interesse” nell’affrontare i casi di preti pedofili fino al 2008, tanto da “non aver mai rimosso i preti responsabili”.

Ombre nere che stanno mettendo a dura prova i rapporti tra la cattolica Irlanda e la Santa Sede, criticata dal primo ministro Edna Kenny per non aver “debellato” lo scandalo della pedofilia tra i preti irlandesi: “Questa è una Repubblica, non il Vaticano”, ha tuonato chiedendo spiegazioni a Roma. Un cancro, a detta del governo di Dublino, che il Parlamento intende affrontare con una nuova legislazione che obbligherà i sacerdoti a denunciare anche i casi appurati in confessione. Eventualità rispedita al mittente dall’arcivescovo Francesco Girotti, reggente della Penitenzeria Apostolica, che ha spiegato che “il sacramento della confessione non si tocca”.

Ora spetterà al Vaticano intervenire, come ha lasciato intendere il portavoce, padre Federico Lombardi: “La Santa Sede risponderà opportunamente alla domanda posta dal governo irlandese a proposito del rapporto sulla diocesi di Cloyne”, ha assicurato augurandosi che il dibattito aiuti “la salvaguardia dei bambini e dei giovani, come auspicato dal Papa”