P4, Tremonti: ‘Non saro’ vittima metodo Boffo’

NAPOLI – Nella migliore delle ipotesi una discussione animata, partita dalle diversità di vedute sui conti pubblici e sulla manovra economica e finita con un messaggio chiaro ed esplicito: non sarò vittima del metodo Boffo. Dall’interrogatorio del ministro dell’Economia Giulio Tremonti – sentito dai pm napoletani Francesco Curcio ed Henry John Woodcock come persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta sulla P4 – emergono i contrasti tra il titolare dell’Economia e Silvio Berlusconi. Così come è molto dettagliata l’analisi che il ministro Tremonti fa della situazione all’interno della Guardia di Finanza, finita al centro della bufera perché è all’interno del Corpo – stando alle accuse contenute sia nell’ordinanza d’arresto per Bisignani e del deputato Alfonso Papa sia in quella per il parlamentare del Pdl Marco Milanese – che vanno cercate le ‘talpe’ responsabili della fuga di notizie. Ed è proprio da qui che partono i pm, sentendo Tremonti domenica 17 giugno nella sede della Dia a Roma. Al ministro, Curcio e Woodcock chiedono se sappia qualcosa di presunte “cordate contrapposte” di alti ufficiali all’interno della Gdf. “Tutto sommato, a distanza di qualche tempo – risponde Tremonti – mi vado sempre più convincendo del fatto che la rimozione dell’impedimento di legge a che gli alti ufficiali della Gdf potessero ricoprire l’incarico di comandante generale è stata per un verso positiva, poiché al vertice del Corpo viene nominata persona che conosce le problematiche…ma ha portato anche conseguenze negative, nel senso che si sono creati meccanismi di competizione tra possibili candidati”. In sostanza i generali, nella prospettiva di diventare comandanti, “hanno preso a coltivare relazioni esterne al corpo che non trovo opportune”.

Di queste ‘frequentazioni’ Tremonti rivela di averne parlato con l’attuale comandante Nino Di Paolo, il primo a provenire dalle Fiamme Gialle e “persona che stimo particolarmente”. “Nella mia qualità di ministro…mi sono permesso di suggerire – dice – di dare alcune direttive, nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Possiamo dire che gli dissi: ‘meno salotti, meno palazzi, consegne in caserma’. E’ a questo punto che l’interrogatorio vira decisamente sui rapporti con il premier. I pm gli fanno sentire la telefonata del 7 giugno scorso tra il capo di Stato maggiore della Gdf, il generale Michele Adinolfi (indagato nell’inchiesta della P4 per rivelazione del segreto e favoreggiamento) e Berlusconi e gli chiedono se quest’ultimo avesse utilizzato strumentalmente le Fiamme Gialle contro di lui. “Non ho mai detto a Berlusconi – risponde Tremonti – che lui mi voleva far fuori tramite la Gdf. Ritengo che Berlusconi abbia fatto un erroneo collegamento fra diverse frasi da me pronunciaté. Poi i magistrati chiedono se della situazione all’interno delle Fiamme Gialle Tremonti ne avesse parlato con il premier. E il ministro ammette di averlo fatto “in modo caratterialmente reattivo”: “Si trattò di uno sfogo”. “Con il presidente del Consiglio ebbi una discussione…, seguito di precedenti discorsi sulla politica in generale, sulla manovra di pareggio economica…pochi giorni prima della conversazione – mette a verbale il ministro -…Io e il presidente del Consiglio manifestammo posizione diverse sulla politica di bilancio” e ad un certo punto Berlusconi manifestò “posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività di ministro”. Le parole del premier, assieme al fatto che “in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza, una spinta alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni”, fecero scattare la reazione di Tremonti: “manifestati la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella ‘Boffo’. Ciò trovava riscontro in voci di Parlamento che mi sono permesso di segnalare al Premier”. Più avanti il ministro precisa che il suo riferimento non alludeva “all’utilizzazione di notizie di carattere giudiziario e riservate per fini strumentali” bensì “alla propalazione sui mass media di notizie riservate e/o infondate atte a screditare chi viene preso di mira”. Un’altra stoccata al premier arriva quando il ministro affronta il rapporto tra Adinolfi e Berlusconi. La telefonata tra i due “non mi sorprende – mette a verbale – poiché avevo già voci in Parlamento del rapporto di amicizia o comunque di conoscenza di Adinolfi con il presidente Berlusconi, attesa la comune passione per il Milan”. Ma quando gli chiedono se rientra nella “fisiologia istituzionale” un “rapporto diretto” tra presidente del Consiglio e capo stato maggiore della Gdf, lui risponde così: “per quanto di mia competenza, mi attengo a criteri istituzionali diversi, e cioé mi relaziono solo con il comandante generale del Corpo”.

MAI AVUTO DA MILANESE OROLOGI IN REGALO – “Per quanto riguarda il dono di un orologio da parte di Milanese alla mia persona, escludo di aver mai ricevuto il dono in oggetto”. Lo dice il ministro dell’Economia Giulio Tremonti al pm di Napoli Vincenzo Piscitelli che lo ha sentito nell’ambito dell’inchiesta da cui è scaturita la richiesta di arresto per il parlamentare del Pdl, il 16 dicembre 2010.
Nell’interrogatorio, di una pagina, il ministro sottolinea che Milanese, in qualità di consigliere politico del ministero, “svolge un ruolo di raccordo con il Parlamento, essendo egli stesso parlamentare”. Tremonti racconta inoltre di aver conosciuto Milanese “intorno al 2001, in occasione della sua applicazione quale aiutante di campo presso il ministero dell’Economia”. E infine risponde ad una domanda degli inquirenti: “non c’é mai stata una collaborazione professionale del Milanese nello studio professionale di cui sono stato socio”.