Si può morire per l’accusa di omofobia? La storia di August Ames

August AmesAugust Ames, nome d’arte della 23enne pornostar Mercedes Grabowski, è morta. Morta suicidata, anche se non sono state ancora rese note le cause del decesso. La storia, come forse ogni storia di morte, ha qualcosa di grottesco e paradossale. Andiamo con ordine. La scorsa settimana, tramite il proprio profilo Twitter, August Ames aveva dichiarato di aver rifiutato una parte in un film in quanto quello che avrebbe dovuto essere il suo partner aveva girato in passato film con rapporti omosessuali. «Non metto in pericolo il mio corpo. Non so cosa fanno nella loro vita privata». Il timore di contrarre l’HIV sarebbe alla base del rifiuto. Da questo tweet e da questa decisione si sono scatenate le feroci polemiche del web che le ha rivolto l’ormai infamante accusa di ‘omofobia’.

Inutile, a quanto pare, la sua replica: «Non sono omofoba. Ci sono tante ragazze che non girano scene simili per tutelare la loro salute». Tra i tanti insulti ricevuti, tanto per capire il tenore, uno suona piuttosto ‘illuminante’ sul clima che si respira in materia: “Chiedi scusa o ingoia cianuro” è uno dei tweet ricevuti dalla Ames che aveva dichiarato in passato di aver sofferto di depressione.

La vicenda solleva importanti domande, forse anche scomode visto il clima culturale e mediatico in cui viviamo. Se verrà confermato che la morte di Mercedes Grabowski è avvenuta per suicidio ci si dovrebbe seriamente domandare se non ci sia stata una pesante istigazione a compiere questo atto.

Fa riflettere, senza trarre conclusioni, che ci si possa suicidare dopo essere stati accusati di ‘omofobia’. Ci si dovrebbe interrogare sulla violenza della rete di affibbiare etichette e condanne delle quali non ci si libererà mai e di quanto queste condizionino poi la vita e le carriere delle vittime.

Ci si dovrebbe interrogare su cosa significa dare dell’omofobo ad un’altra persona, visto che questa – anche ammesso avesse torto – non è nemmeno libera di accettare o rifiutare una parte in un film.

Ci si dovrebbe interrogare sull’evangelica pietra da scagliare da questo mondo mediatico e virtuale (ma non solo) che si indigna solamente per alcune discriminazioni, come se ci fossero morti di serie a e di serie b. Per August Ames non si dovrebbe parlare di discriminazione? E, ancor di più, di bullismo? Non è paradossale e grottesco che questo bullismo sia stato perpetrato in nome di un concetto, come quello dell’omofobia, che dovrebbe indicare coloro che sono accusati di essere discriminatori e violenti?

Rimangono le domande; ma di più rimane il dubbio che non si possano sollevare dubbi rispetto ai dogmi di questa società che è arrivata ad un livello di corto circuito ideologico impressionante. Non c’è più la capacità (nonostante le tante possibilità) di parlare, di esprimersi, di comunicare. È in atto un gogna mediatica spaventosa che miete costantemente vittime. L’ultima, in ordine di tempo, è quella di August Ames.