Tolstoj e il conflitto interiore dell’uomo

Nelle sue lezioni di letteratura russa, Vladimir Nabokov ha individuato il miglior prosatore russo: esclusi i precursori Puškin e Lermontov, la classifica vede al quarto posto Turgenev (Padri e figli), al terzo Cechov, al secondo posto Gogol (Anime morte) e al primo Lev Tolstoj.

Nabokov cerca poi di spiegare a cosa si debba l’esclusione di Dostoevksij, dopodiché analizza tutta la grandezza di Tolstoj, soffermandosi però più su Anna Karenina che su Guerra e pace e individuando nel primo, e in particolare nella figura di Levin, il vero alter-ego dello scrittore russo. In realtà non si può certo negare che anche Pierre Bezuchov, come Levin, sia in perenne conflitto con se stesso e che questo conflitto rispecchi anche quello di Tolstoj.

Conflitto è quindi la parola-chiave. Un conflitto che non riguarda soltanto i popoli (lo scontro tra la Francia napoleonica e la Russia dello zar) ma anche e soprattutto ogni personaggio di questo immenso, poderoso ed epico romanzo.

Ci sono pochissimi romanzi capaci di entrare nel cuore e di essere indimenticabili: Don Chisciotte, Il conte di Montecristo, I Miserabili. E poi c’è Guerra e pace, un discorso a parte da tutti questi. Perché Guerra e pace è un romanzo lunghissimo, talvolta infinito, interminabile. Un fiume di parole, di pensieri, di avvenimenti che sembrano inutili ma che vogliono invece avvicinare i personaggi al cuore. Tutti i particolari servono per creare intimità e per far scorrere più lentamente il tempo. Così si soffre accanto al principe Andrej quando parte per il fronte; ci si arrabbia per l’ingenuità di Nikolaj Rostov o di Nataša e si vorrebbe rimproverare Pierre Bezuchov per essersi fatto abbindolare dalla bellissima ma dissoluta Hélène, proprio lui che di valori ne ha fin troppi.

Ma non è stato sempre così per Pierre, anzi. Inizialmente, Pierre è soltanto un russo che ha studiato in Francia e che i salotti dell’alta aristocrazia non sopportano. Dopo aver ereditato la fortuna del conte Bezuchov, che l’ha riconosciuto come figlio legittimo, per Pierre le cose cambiano: subito sposa Hélène, bella ma frivola, amante dei salotti e della vita mondana; poi sfida Dolochov a duello per recuperare l’onore (pare che se la spassi proprio con Hélène); si avvicina alla massoneria, salva Nataša dall’inganno di quel casanova di Anatol’ Kuragin, il fratello di Hélène; cerca di convincere Andrej a perdonare Nataša, ripudiata dopo l’avventura mancata con Kuragin; rimane a Mosca quando arrivano i francesi e si dà da fare per vincere la guerra insieme a tutto il popolo russo. Infine, scopre di amare Nataša. Anzi, si rende conto di averla sempre amata. E opta quindi per la filantropia e per il bene assoluto. Ed è ai suoi pensieri che si affida Tolstoj. È alla sua complessità morale che ci si affeziona, alla sua profonda umanità.

Conflitti, ancora. Il conflitto tra Napoleone Bonaparte, usurpatore, rivoluzionario, liberatore, folle; e lo zar Alessandro I. Prima sono alleati, poi sono nemici. Napoleone vuole l’Europa, la Russia vuole mantenere la propria indipendenza. Napoleone si spinge troppo in là, trova Mosca devastata e ritorna in Francia ma l’inverno è alle porte, così come la sua caduta. Cade e finisce nell’isola d’Elba ma poco dopo risorge per l’ultima volta, fino alla definitiva sconfitta. E così, davvero, «ei fu siccome immobile».

Altro conflitto: il principe Andrej. Il conflitto con suo padre, il burbero conte Bolkonksij. Il conflitto con se stesso: odia Anatol’ per aver tentato di rubargli Nataša; ma odia anche la stessa Nataša per aver ceduto, per non essere riuscita a mantenere fede alla loro promessa. Un fidanzamento nato tutt’altro che sotto i migliori auspici: il conte Bolkonskij non lo benedice e chiede al principe Andrej di aspettare un anno, di attendere il suo ritorno dal fronte.

Poi la ferita, in guerra. E finalmente, la rivelazione: prima l’incontro con Anatol’, che il principe Andrej aveva giurato di voler uccidere; poi quello con l’amata Nataša.

La stessa Nataša vive un conflitto: ama il principe Andrej ma si sente attratta da Anatol’ Kuragin. Vorrebbe fuggire addirittura con lui, per questo scrive alla sorella del principe Andrej, la contessa Mar’ja. Ma il destino le è avverso e qualcosa va storto. Pentimento, delusione, soprattutto il primo o forse entrambi i sentimenti. Torna il principe Andrej, che la ripudia. Poi Pierre, l’amico di famiglia, il goffo Pierre, il conte Bezuchov, quello che ha sposato una donna troppo bella per uno come lui. Ma Pierre l’ha amata da sempre, fin da quando era poco più di una bambina. Ed è lo stesso Pierre a raccogliere l’eredità del principe Andrej nel cuore di Nataša.

Conflitto, per l’ennesima volta. Nikolaj Rostov, diviso tra la vita famigliare, l’amore giovanile ma impossibile per la dolce Sonja, sua cugina, e il fronte, il dovere da ussaro. Suo fratello Petja lo segue e conosce il sapore del sangue. Nikolaj è in conflitto anche per non poter sposare Sonja: perde al gioco, si indebita con Dolochov, mette nei guai la sua famiglia; e Sonja è povera, troppo povera per poter essere sposata. Meglio la contessa Mar’ja, anche lei in conflitto, come tutti. In conflitto per essere stata costretta a rinunciare a tutti i propri piaceri per restare accanto a un padre che non l’ha mai trattata bene. Da un lato gli è devota ma dall’altro è suo padre a renderla prigioniera del suo stesso amore.

Tutti questi conflitti, uno dietro l’altro, sullo sfondo di grandi eventi storici che hanno cambiato la storia e che hanno condotto l’uomo verso una nuova era, l’era contemporanea. Tolstoj lo sa benissimo che senza Napoleone non ci sarebbe stata l’età contemporanea. Sa anche che Napoleone e la sua follia sono serviti per far riscoprire all’Europa che cosa voglia dire sentirsi unita. È servito anche per la Russia, anche per tutti i suoi personaggi.

E in fondo, tutti questi conflitti interiori non sono altro che l’escamotage per trattare il grande tema di cui tutte le letterature del mondo hanno sempre trattato, dalle origini alla modernità. Tolstoj lo riprende, questo tema, così come saprebbe fare soltanto un maestro del racconto del suo calibro.

Tolstoj è capace di descrivere scene di vita mondana, scene di guerra; di entrare nel mondo di ognuno dei suoi personaggi; di far vedere la storia sullo sfondo, come un quadro, e allo stesso tempo di focalizzarsi nei particolari. Dipinge un grande paesaggio, un immenso paesaggio – la follia di Napoleone – ma a questo paesaggio aggiunge tanti altri soggetti, indispensabili per non produrre soltanto un quadro vuoto, privo di dettagli. Tolstoj entra nella mente di tutti, da Napoleone a Kutuzov, e racconta la storia non da storico ma da filosofo, da uomo che conosce molto bene il modo in cui le azioni dei singoli si trasformano in azioni collettive e come il valore di un uomo possa diventare il valore di molti uomini, di un popolo intero.

La Storia deve guardare Lassù, verso il suo grande Burattinaio. Perché nulla avviene senza il volere di Lui – dice Tolstoj attraverso Pierre. Tutto è soggetto al Suo volere, anche quando cade un capello.

La Storia – e nella fattispecie le guerre napoleoniche – può essere interpretata in infiniti modi. Così – dice Tolstoj – per un bambino punto da un’ape il fine dell’ape sarà pungere; ma per un apicoltore il fine dell’ape è produrre il miele; e per qualcun altro sarà la virtù; e così via.

Qual era dunque il fine di Napoleone? La risposta la conosce soltanto l’Onnipotente.

Questo è Guerra e pace, un romanzo non su amori, vendette, rapimenti mancati, lutti famigliari continui, dolorose scelte. O forse Guerra e pace è anche un romanzo su tutto questo. Ma la materia principale è sempre la stessa. La materia prima di tutta la letteratura, quella di cui nessuno scrittore può fare a meno, è la stessa per tutti. La materia indispensabile è una sola, il grande argomento che tutta la letteratura mondiale tratta dalle origini alla modernità in tutte le sue infinite sfaccettature: l’uomo.