Un inquieto viaggio di ricerca e poesia

Arduino Sacco Editore. Silloge poetica del cremonese Guido Mazzolini

«…In un mondo dove è più utile un chiodo di una poesia e un falegname di un poeta, sinceramente mi domando cosa ci fai dietro a queste pagine…»: così l’autore ci introduce al proprio lavoro poetico e sinceramente non pare strizzarci l’occhio o elargire consigli, piuttosto rileva con amara lucidità «la sublime inutilità della poesia» (dalla prefazione di don A.Mazzi). Questo è il motivo ricorrente di tutta la raccolta e, se la letteratura in genere – e maggiormente la poesia – non dimostra ai più una funzionalità immediata, alcuni ‘prescelti’ la chiamano ancora a consacrare un rito misterico e assoluto, soltanto a loro visibile, abbagliante e tremendo, che consacra il canto poetico quale unica modalità di avvertire sé e il mondo. «L’attimo e l’essenza» – titolo della silloge del poeta cremonese Guido Mazzolini, pubblicata ad aprile da Arduino Sacco Editore (Roma) –  svela con immediatezza l’animo dell’autore, in bilico tra l’ebbrezza («gocciolìo di attimi rapaci» e «randagi» trasudanti vita) e la ricerca di un senso assoluto alla propria esistenza. Ed è in questa costante ricerca di significato che si genera l’inquietudine e i precari equilibri di suoni e voci. Non è possibile seguire l’andamento tracciato da irregolari parabole spirituali che conducono il poeta a vertici di esaltante passione («Disperdimi come sale e neve / voglio sdrucire l’anima / nel meridione dei tuoi occhi viola […] diventa il mio tutto / il mio capolavoro») o abissi di immobilità sfinita del pensiero; forse il senso, così sembra dirci Mazzolini, non è nella risposta mancata, ma nella domanda urlata, non nell’arrivo sicuro ma nel viaggio incerto. Un viaggio questo scandito non da stereotipati paesaggi, bensì da «gelide notti» o «albe infuocate» che ambientano una riflessione totale sul proprio esistere («Chi siamo angelo mio? – Cerchiamo forse lucide risposte, / bambini spersi dentro sogni»), strettamente uniti alla meditazione sul proprio gesto poetico – condotto privilegiando ermetismo e simbolismo: «Io canto l’Uomo, solamente il fragile individuo», «io canto […] la parola che non disse». Come tanti autori del convulso Novecento, anche Guido Mazzolini rifiuta per sé il ruolo di poeta veggente, messaggero di velate verità, e suggerisce di «Non chiedere al poeta il risultato / del proprio scriver cieco e disperato»: aedo di una mitologia senza eroi e vittorie, il suo canto spezzato e confuso graffia fieramente le mura del nostro ansioso, vacillante vivere. Resta l’attesa: non di risposte, ma di coraggio per scandagliare i fondali dell’anima.

(Miriam Bergamaschi)

Una risposta a “Un inquieto viaggio di ricerca e poesia”

  1. Ringrazio Miriam Bergamaschi che ha descritto e recensito così bene il libro di Mazzolini. È una silloge che va letta con calma, assaporata.
    Per molti, non per tutti.

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