Casini: ‘Con Monti per vincere no a governi con estremisti’

I sondaggi non sono i voti degli italiani” e “noi vogliamo vincere”. Lo dice il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini a ‘La Telefonata’ rispondendo anche alla domanda di Maurizio Belpietro sulle possibili alleanze future e in particolare su quella con il Pd. “Nessun governo che abbia dei populismi o degli estremismi o che sia impregnato delle vecchie ideologie del passato può avere il nostro voto. Noi siamo per una ricetta diversa, quella anticipata in questo anno”, risponde Casini. “Noi vogliamo vincere. Se non vinceremo valuteremo le subordinate. Dato che i sondaggi non sono i voti” dice Casini che ricorda: “Chiunque partecipi a una competizione elettorale con la dignità, la forza morale e le aspirazioni nostre non può rispondere a questa domanda, noi vogliamo vincere”. Anche “Berlusconi da un mese dice che vince ma lo sanno tutti gli italiani che non ha nessuna possibilità di vincere. Giustamente, però, dal suo punto di vista dice che vuol vincere e noi diciamo la stessa cosa” aggiunge.

CASINI, SU LISTE DECIDE MONTI MA GRUPPI UNICI – “Noi ci siamo rimessi nelle mani di Monti: è lui che deciderà le liste e, insieme a noi, le persone. E questo ha un senso, perché faremo gruppi parlamentari unici”. Lo ha detto il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini sottolineando che non c’e’ alcuna rivendicazioni di quote: “i giornali sono attenti al gossip ma non alla novità. Noi abbiamo preso l’impegno di fare gruppi parlamentari unici”. Casini commenta poi le dichiarazioni di Passera: “Non mi piace chi sale su un predellino e fonda un partito e non mi sarebbe piaciuto chi, sprezzante di ciò che esiste, imponesse una lista unitaria che si mangiasse storie, persone. Questo avrebbe significato una nuova versione dell’ uomo solo al comando. In politica non c’é l’uomo solo al comando che impone: la politica è invece una paziente ricerca di una posizione comune. Dobbiamo riunire uomini e donne in una grande ricostruzione del Paese. Altre impostazioni fanno parte di una cultura che mi è lontana anni luce” dice ancora Casini secondo il quale “Monti ha invece capito che serve prendersi per mano e procedere anche tra esperienze e culture diverse”. Ma Passera vi accusa anche di aver fatto una cosa vecchia. “Il meglio è nemico del bene e quello che è stato fatto è rispettoso delle cose e delle persone” risponde Casini

MONTI: POSSIBILE RIVEDERE IMU-IRPEF. MA NO PROMESSE VANE di Federico Garimberti – Ieri ‘cinguettava’ su Twitter di voler riformare la legge elettorale; oggi parla in Tv di modificare l’Iva, ridurre l’Irpef e congelare l’Iva. E’ un Mario Monti decisamente più attento alle tasche degli elettori quello che si presenta alle telecamere di SkyTg24. Segno che il leader di Scelta Civica, forse motivato dagli ultimi sondaggi che lo danno al 15%, punta a raggranellare il massimo dei consensi. Per farlo prende anche le distanze da Angela Merkel: sostenerla perché mi rivuole al governo? “Non c’é reciprocità in queste cose”, chiosa. E rivela pubblicamente – rischiando la gaffe diplomatica – di avere “l’endorsement” di Barack Obama nella corsa a palazzo Chigi. Incalzato dalle domande di Gianluca Semprini, il professore si toglie diversi sassolini dalle scarpe: soprattutto nei confronti di Berlusconi: ricorda che prima di attaccarlo quotidianamente non doveva considerarlo un “leaderino” visto che gli aveva offerto la leadership del centrodestra, da lui rifiutata al vertice del Ppe. Eppure non chiude la porta del dialogo col Cavaliere, a condizione che – così come Bersani – si distanzi da quei “nidi di conservazione” che “sia a destra che a sinistra” impediscono il rinnovamento del Paese.

Monti rivela che i primi a sapere della sua decisione di ‘salire’ in politica sono stati Giorgio Napolitano e sua moglie Elsa: “I due presidenti, quello della Repubblica e quello di casa mia”, ironizza. Decisione che, ammette, stava “covando” da tempo; lo ‘strappo’ del Pdl ha solo “rafforzato” il suo convincimento. Si difende dall’accusa di aver tradito la fiducia di chi lo credeva super partes: “Non c’era nessun patto”, su questo. Non lesina stoccate ai suoi alleati: nel confermare che le candidature saranno definite “nei prossimi giorni”, anche se forse non martedì (in attesa di un nuovo vertice con Udc e Fli pare confermato il criterio di due deroghe a lista per chi abbia più di tre mandati, sei in tutto dunque), ribadisce di essere stato lui a volere più liste alla Camera.

“Sono convinto che sia meglio così”, spiega, negando di aver subito diktat di Casini o Fini. Anzi, aggiunge malizioso, sono loro ad aver avuto una “sorpresa non gradita” scoprendo di non poter avere riferimenti al suo nome nel simbolo. Come a dire: è alla Camera che ci peseremo e verificheremo i reali rapporti di forza. Ma è sul capitolo pressione fiscale che il premier si gioca le sue carte elettorali: non solo confermano che non servono nuove manovre, ma riconosce che l’Imu “va modificata” e il suo gettito “destinato maggiormente ai comuni”. L’intenzione sarebbe quella di alleggerire l’imposta sulla prima casa, con particolare attenzione alle famiglie con figli a carico.

Ma è in generale “l’intera struttura fiscale” ad aver bisogno di una rivisitazione, anche se per farlo occorrono “alcuni anni”. Insomma “le tasse vanno ridotte”, abbassando ad esempio di un punto l’Irpef e congelando l’Iva, ma senza “promesse non mantenibili”: ad ogni riduzione dovrà corrispondere cioé un taglio alla spesa pubblica. Respinge al mittente l’accusa di essere vicino a banche e grandi industrie (“chiedete a Bill Gates e Jack Welch”, dice ricordando la multa a Microsoft e la bocciata fusione Ge-Honeywell di quando era commissario Ue), sottolineando che era Berlusconi ad essere contrario alla tassa sulle transazioni finanziarie, non lui. Dice di auspicare una maggiore flessibilità del mercato del lavoro come chiesto da Ichino, ma sottolineando di volerlo anche nell’interesse dei lavoratori. Glissa sulle unioni gay, spiegando che su questi temi, “forse più importanti di quelli economici, ma meno urgenti” spetta al Parlamento decidere. E parla del suo futuro: candidandosi le sue chance di salire al Quirinale si sono notevolmente ridotte, ma non esclude incarichi europei: non alla guida della Commissione Ue, per la quale è meglio un “giovane”, quanto piuttosto sulla poltrona di presidente del Consiglio Ue.