Referendum: e’ scattato il silenzio. Battaglia sul quorum

La campagna referendaria si è chiusa ieri con il centrosinistra in piazza al fianco di movimenti e associazioni, ministri e parlamentari del centrodestra a casa o, come nel caso del premier Silvio Berlusconi, a Portofino per il compleanno del nipote. La battaglia per il quorum è nella presenza o nell’assenza della politica dalla scena pubblica nel giorno di chiusura della campagna. “Il quorum è a portata di mano”, suona la carica Pier Luigi Bersani, a piazza del Popolo insieme a Di Pietro e ai Verdi ma non sul palco per evitare di dare colore politico all’evento.
Le votazioni cominceranno domani dalle 8 alle 22 e proseguiranno lunedì dalle 7 alle 15.

BATTAGLIA PER QUORUM,SINISTRA IN PIAZZA GOVERNO A CASA
di Cristina Ferrulli
Centrosinistra in piazza al fianco di movimenti e associazioni, ministri e parlamentari del centrodestra a casa o, come nel caso del premier Silvio Berlusconi a Portofino per il compleanno del nipote, già immersi nel riposo del fine settimana. La battaglia per il quorum è nella presenza o nell’assenza della politica dalla scena pubblica nel giorno di chiusura della campagna referendaria. “Il quorum è a portata di mano”, suona la carica Pier Luigi Bersani, a piazza del Popolo insieme a Di Pietro e ai Verdi ma non sul palco per evitare di dare colore politico all’evento allontanando dalle urne gli elettori del centrodestra. E’ il quorum il vero scoglio che i sostenitori del referendum puntano a superare con una mobilitazione che ammette ogni forma espressiva, dagli striscioni srotolati sui monumenti simbolo, alle tradizionali manifestazioni di piazza fino ai concerti serali in molte città. Un obiettivo difficile, ammettono centrosinistra e Terzo Polo, usando metafore per descrivere l’impresa ardua. “E’ come scalare una montagna ma sono convinto che basta allungare la mano per afferrarlo”, afferma Bersani che chiama tutti a mettere la sveglia presto domenica mattina proprio per mandare un segnale agli indecisi. “Siamo come quelli – è l’immagine usata da Antonio Di Pietro – che stanno per arrivare alla riva del risultato e quando qualcuno gli chiede se si sta per arrivare, io rispondo: ‘Nuota, fratello, nuota”. E per convincere alle urne Massimo D’Alema cita due figure super partes: “Sono d’accordo con il presidente della Repubblica e con il Papa”. La maggioranza sceglie, invece, il basso profilo per depotenziare l’appuntamento referendario. Dopo aver difeso il diritto al non voto, il premier Silvio Berlusconi, così come Umberto Bossi, oggi restano in silenzio. Ma respingono la rappresentazione, che arriva dal centrosinistra, che chi non vota non fa il proprio dovere. “Il non voto è un diritto costituzionale”, rivendica il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. E il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto parla di “tendenza alla demonizzazione” verso chi non voterà a favore, replicando a Bersani e Franceschini che avevano definito “disdicevole” e come “un segno di degrado” la decisione di Berlusconi di non votare. In realtà, sotto traccia, la vera battaglia politica nei due fronti va al di là del quorum e della vittoria dei sì. Per convincere al voto anche gli elettori di centrosinistra, il segretario Pd ribadisce che non “é l’ora X” ed il referendum non è la spallata al governo. Ma in realtà, come spiega Rosy Bindi, l’obiettivo è indebolire la maggioranza dopo la sconfitta alle amministrative, “dare un’altra botta al governo”. Una sfida che però la maggioranza, già alle prese con un difficile rilancio, non raccoglie. Da giorni Berlusconi assicura che l’esito non avrà alcun effetto sul governo e, come dice oggi Cicchitto, “le chiacchiere stanno a zero per quello che riguarda il confronto politico in corso sul governo e sulla sua tenuta”.

BERLUSCONI NON TEME REFERENDUM, ORA PENSARE A VERIFICA
di Federico Garimberti
Sicuro che alla fine anche Giulio Tremonti si convincerà a dare un “segnale forte” all’elettorato sul fronte fiscale, poco preoccupato dalla partita referendaria, un po’ di più, ma non da non dormirci la notte, per l’imminente verifica parlamentare. Chi ha parlato con Silvio Berlusconi fra ieri sera e stamattina, descrive così gli umori del presidente del Consiglio. Convinzioni e auspici che non tutti, nella maggioranza, condividono fino in fondo. Sul fronte fiscale, l’annuncio della legge delega prima dell’estate viene letta con perplessità persino nel governo: “Dentro può esserci tutto, ma anche nulla”, ragiona un ministro pidiellino, secondo il quale il punto di convergenza fra il Cavaliere e il Professore è stato raggiunto più sulla comunicazione che sui contenuti. Per non parlare dei tempi, lunghi per il Tesoro, il più breve possibile per palazzo Chigi. Il premier ripete che alla fine Tremonti si convincerà, anche perché non ci sono alternative. Tanto che secondo qualcuno avrebbe anche ipotizzato di andare avanti comunque, prescindendo cioé dal ministero dell’Economia. Anche se in pochi, almeno nel governo, credono che l’esecutivo sopravviverebbe ad una simile scossa. Tutti, invece, concordano sul fatto che “la sfida” fra lui e Tremonti inizierà davvero solo dopo il 22 giugno. E comunque vada a finire, profetizza un altro membro dell’Esecutivo, “la partita terrà tutti impegnati per un po’, con il risultato che Berlusconi, con tutta probabilità, arriverà almeno al 2012”. Sul dopo, nessuno fa previsioni. C’é chi vede un Berlusconi stanco, poco combattivo, più preoccupato per la sentenza Mondadori che per le sorti del governo. In tanti (come Scajola e Formigoni) gli suggeriscono un cambio di passo e vedono nell’alleanza con l’Udc l’unico balsamo di salvezza perché, confida un dirigente del Pdl, “ormai è chiaro che noi e la Lega, da soli, perdiamo”. Sono gli stessi che lo spingono a fare un passo verso Casini, magari promettendogli palazzo Chigi o addirittura il Quirinale. Lui, raccontano, nicchia, anche perché sa che conditio sine qua non sarebbe il suo passo indietro che, per ora, non intende nemmeno prendere in considerazione. Tra l’altro, reputa ancora solido l’asse con Bossi che, spalleggiato da Maroni e forte del sostegno della base, lo affianca nell’opera di convincimento sul Tesoro (mentre Calderoli sarebbe più ‘tremontiano’). “Ormai si dovrebbe parlare di Leghe”, ironizza un deputato pidiellino, per sottolineare che l’unità del Carroccio ormai è solo un ricordo. L’impressione è che in tanti, anche a via Bellerio, inizino a pensare al dopo. Fatto sta che il premier sembra guardare con minore preoccupazione all’appuntamento di Pontida. O almeno così assicurano i suoi. Neanche la verifica, nonostante qualcuno a palazzo Grazioli veda nuvoloni neri addensarsi su Montecitorio, lo preoccupa più di tanto anche nel caso in cui si dovesse arrivare ad un voto. Certo, i numeri sono risicati (al momento il pallottoliere segna 318) e gli scontenti abbondano, ma il leit motiv è che “nessuno adesso ha interesse ad andare a casa”. Ciò nonostante qualcuno nel Pdl ammetta placidamente che la situazione è “confusa e incerta”. Anche il rischio che il referendum raggiunga il quorum, ventilato oggi da Pier Luigi Bersani, non sembra impensierirlo più di tanto. Sa che la possibilità di arrivare al 50% esiste, ma è convinto che anche in quel caso, nonostante il legittimo impedimento, non vi saranno conseguenze sull’esecutivo. Tanto che, fra tutti i grattacapi che ha, non è mai fra quelli menzionati in privato. Sullo sfondo, intanto, restano ancora tutti aperti all’interno del Pdl. A cominciare dal successore di Angelino Alfano, non ancora individuato: tanto che qualcuno inizia a sussurrare che potrebbe anche restare.