Storico voto sulla Palestina all’Onu

L’Italia voterà a favore del riconoscimento dello status di ‘Stato non membro’ della Palestina all’Onu. La decisione dell’Italia di sostenere la richiesta palestinese all’Onu “non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele”. Lo ha sottolineato il premier Mario Monti in una telefonata a Netanyahu garantendo “il forte impegno a evitare qualsiasi strumentalizzazione” contro Israele alla Cpi.
“Siamo molto delusi dalla decisione dell’Italia – uno dei migliori amici di Israele – di sostenere l’iniziativa unilaterale dei Palestinesi alle Nazioni Unite”. E’ la reazione a caldo dell’ambasciatore israeliano a Roma all’annuncio del sì italiano al riconoscimento dello status della Palestina quale Stato non membro dell’Onu.

Il voto all’Onu sulla Palestina “non cambierà alcunché sul terreno”. Lo ha affermato il premier di Israele Benyamin Netanyahu secondo cui quel voto “non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà “. Comunque “la mano di Israele resta tesa verso la pace”, ha assicurato.

La Germania si asterrà sulla richiesta palestinese di diventare “stato non membro osservatore” dell’Onu. Lo ha detto il ministro degli Esteri Guido Westerwelle. “Non abbiamo preso questa decisione con leggerezza. La Germania condivide l’obiettivo di uno stato palestinese. Abbiamo promosso il raggiungimento di questo traguardo in tanti modi, ma i passi decisivi verso la costituzione di uno stato possono essere solo il risultato di negoziati tra israeliani e palestinesi”, ha spiegato il ministro degli Esteri tedesco in un comunicato.

STORICO VOTO SULLA PALESTINA ALL’ONU – di Ugo Caltagirone

I palestinesi si apprestano a vivere una giornata memorabile. Una pagina di storia che verrà scritta molto lontano, al Palazzo di Vetro di New York, dove la maggioranza della comunità internazionale dirà sì alla Palestina come ‘Stato osservatore’. Che si tratti di un riconoscimento simbolico o di una decisione di sostanza, sarà sicuramente una grande vittoria diplomatica per Abu Mazen, che finalmente ottiene quello che con tutte le sue forze ha perseguito fin dall’inizio del suo incarico alla guida dell’Anp. Nella speranza che ora si possa davvero aprire la strada verso il riconoscimento della Palestina come Stato e un domani come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Il leader dell’Autorità palestinese ha passato la vigilia del voto dell’Assemblea generale dell’Onu proprio a New York, incontrando diversi interlocutori (tra cui il segretario generale dell’Onu Ban ki-Moon) e cercando di strappare più consensi possibile alla risoluzione che – secondo le previsioni – dovrebbe essere approvata da almeno i due terzi dei 193 Stati membri (gran parte degli africani, degli asiatici e tutti i Paesi emergenti, oltre ovviamente ai musulmani, sono per il sì). Ha visto in un albergo anche i rappresentanti dell’amministrazione Obama, tra cui il vicesegretario di Stato americano, William Burns, e l’inviato Usa in Medio Oriente, David Hill: un incontro molto cordiale, ma entrambe gli hanno ribadito il fermo ‘no’ degli Stati Uniti alla risoluzione.

Considerata – come ha ripetuto la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland – “un errore”, una mossa controproducente che alla fine non farà altro che rallentare il processo di pace. La posizione di Washington, perfettamente in linea con quella israeliana, è nota: uno Stato palestinese può nascere solo dal negoziato tra le parti. Si presenta divisa al voto, invece, l’Europa. Dopo il sì della Francia – seguita da Paesi come la Spagna e, fuori dall’Ue, la Russia, che ritengono sia questa la strada per riavviare un serio negoziato per la pace – la Germania, per bocca del portavoce della cancelliera Angela Merkel, ha confermato che non sosterrà la risoluzione presentata da Abu Mazen.

Malgrado i toni un po’ meno accesi mostrati nelle ultimissime ore dal governo Netanyahu, l’ambasciatore israeliano all’Onu, Ron Prosor, non ha intanto risparmiato oggi dalle colonne del Wall Street Journal online parole sprezzanti contro l’istanza di Abu Mazen: liquidando l’ipotetica futura Palestina come uno Stato che non avrebbe “il controllo sul suo territorio, uno Stato terrorista, uno Stato non democratico e in bancarotta” e ammonendo l’Assemblea generale a “riflettere bene sulle conseguenze” del suo voto. L’Italia, dal canto suo, potrebbe astenersi, ma la posizione da tenere oggi è ancora da definire pienamente dopo una giornata di intensi contatti tra Quirinale, Palazzo Chigi e Farnesina. “A Roma – ha sintetizzato l’ambasciatore Cesare Maria Ragaglini, rappresentante italiano a Palazzo di Vetro – si sta ancora discutendo ai massimi livelli: riceveremo istruzioni tra questa sera e domattina”. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha auspicato che il voto di oggi “rafforzi comunque il processo di pace”, notando che l’Italia “si pone questo dilemma”. Mentre il segretario del Pd Pierluigi Bersani si è schierato con chi a Roma sostiene le ragioni del sì allo Stato palestinese: “Non si possono avere titubanze, dobbiamo votare sì, tutti i Paesi del Mediterraneo voteranno sì, altrimenti avrà sempre ragione Hamas e non Abu Mazen”.

Il Regno Unito invece, come ha spiegato il ministro degli Esteri William Hague, ha annunciato che Londra si asterrà se non verranno accolte (come sarà) alcune condizioni, tra cui quella di rinunciare a ricorrere alla Corte Penale Internazionale (Cpi) contro Israele. Perché diventando Stato osservatore dell’Onu per i rappresentanti palestinesi si apriranno le porte di trattati e organizzazioni internazionali, tra cui appunto la Cpi. E i palestinesi non hanno alcuna intenzione di rinunciare a questa prerogativa, anche se non la danno per immediata: dipenderà dalle scelte di Israele sul fronte degli insediamenti nei Territori palestinesi occupati. L’obiettivo dell’Autorità palestinese – come è scritto nel testo di risoluzione presentato da Abu Mazen – prevede comunque una ripresa dei negoziati di pace, che portino a un accordo definitivo in grado di garantire la costituzione di uno Stato palestinese che viva in pace con Israele e in sicurezza. Il tutto sulla base dei confini del 1967, come auspicò a inizio mandato anche il presidente americano, Barack Obama.