Yara: a due anni dalla morte ancora caccia all’assassino

(di Stefano Rottigni) – MILANO – Sono passati quasi due anni da quel freddo pomeriggio del 26 novembre 2010 in cui Yara Gambirasio, 13 anni, ginnasta di belle promesse, sparì mentre tornava verso casa dal palazzetto dello sport, distante poche centinaia di metri, a Brembate di Sopra (Bergamo), in cui aveva portato un impianto stereo per una prova. Seguirono tre mesi di angoscia, di ricerche febbrili che videro impegnate centinai di volontari, polizia e carabinieri. Fino alla fine delle speranze: il 26 febbraio del 2011 il corpo di Yara fu trovato a Chignolo d’Isola, a pochi chilometri da casa sua, nello stesso posto in cui era stata uccisa. L’autopsia stabilirà che a causarne la morte erano stati colpi d’arma da taglio e il freddo. Il suo assassino, dopo tutto questo tempo, non ha ancora un nome e il procuratore di Bergamo, Francesco Dettori assicura che “le indagini non hanno mai conosciuto un momento di tregua, né lo conosceranno mai”.

Lo stesso capo della Procura , “nel rispetto dell’autonomia” del lavoro del suo pm Letizia Ruggeri “è informato costantemente” di quanto accade nell’inchiesta. O meglio nelle due inchieste: la prima, infatti, vede coinvolto il marocchino Mohammed Fikri, giovane muratore arrestato pochi giorni dopo la scomparsa di Yara. Le attenzioni degli investigatori si erano concentrate su di lui perché lavorava nel cantiere di Mapello, a poca distanza da Brembate, dove si stava realizzando un imponente centro commerciale. Qui avevano portato i cani molecolari impegnati nelle ricerche e fu una telefonata, fatta poco prima di partire per il Marocco, a metterlo nei guai. “Allah, perdonami, non l’ho uccisa io”, era stata tradotta all’inizio. Fu fermato a bordo di una nave in acque internazionali ma la traduzione si rivelò sbagliata.

Altri dieci traduttori, a oggi, hanno stabilito che l’immigrato non aveva mai usato la parola ‘uccidere’ e il Dna trovato sul corpo della ragazza era risultato non corrispondere al suo. Fikri, tuttora, si trova in una sorta di limbo,in attesa che sia disposta quell’archiviazione che la Procura di Bergamo ha chiesto a più riprese ma che il gip non ha ancora accolto, nell’attesa di ulteriori accertamenti che sembrano proseguire in direzione favorevole all’unico indagato per il caso Yara. Perché il secondo procedimento ha ormai preso il nome di ‘Ignoto Uno’ e porta a Gorno, sempre nella Bergamasca. Sulla scorta delle migliaia di comparazioni del Dna trovato sul corpo di Yara (ne sono in corso ancora) gli investigatori sono giunti a un uomo che visse in paese e morì nel 1999, Giuseppe Guerinoni, il quale aveva un profilo genetico somigliante a quello dell’assassino. Il Dna è stato comparato con quello di tutti i componenti della sua famiglia e non è emerso nulla.

Da qui l’ipotesi che abbia un figlio illegittimo di cui, però, non si è ancora arrivati ad accertare l’esistenza e, tantomeno, arrivare all’identità. E’ su questa pista, che, in assenza di svolte, dovrà chiudersi nel febbraio scorso, quando scadranno i termini per le indagini, che insiste il genetista Giorgio Portera il quale assiste la famiglia Gambirasio, se non altro per capire quanto sia concreta. L’esperto ha chiesto da tempo la riesumazione della salma di Guerinoni e si chiede: “Perché non viene disposta quando succede per i riconoscimenti di paternità, anche quando si tratta di piccole eredità? Io stesso sono nominato perito quando si tratta di riconoscimenti di paternità per vicende che riguardano piccole proprietà e la riesumazione viene disposta”. “Perché – insiste – non viene fatto in un caso così drammatico a fronte anche delle spese che sono state sostenute per gli accertamenti scientifici?”. “Questo anche per rispetto della famiglia Guerinoni, che ha subito un grande choc e merita che siano fugati i dubbi”, spiega in modo accorato.