Provincia di Torino: trasporto pubblico extraurbano vs trasporto urbano

Oggi, causa neve e ghiaccio imperversante, condizioni di estremo pericolo delle strade e gomme estive ancora montate, prendo i mezzi pubblici extraurbani per recarmi sul posto di lavoro: un Torre Pellice-Torino con cambio alla stazione di Pinerolo che potrebbe divenire un viaggio della speranza.

Con non poche difficoltà raggiungo la fermata della linea “901 Torre Pellice – Pinerolo” posta a poche decine di metri da casa mia, sono le ore 6:36 del mattino, poche luci accese nelle case, buio, freddo, un leggero nevischio scende dal cielo coperto e minaccioso.

Il passaggio è fissato alle 6:40, ma, vista l’impraticabilità del manto stradale e la poca fiducia nel servizio pubblico, mi accingo, anima in pace, ad attendere a lungo… ed invece, sorpresa delle sorprese, il pullman è in perfetto orario e nell’abitacolo c’è anche calore. Sorrido. Poteva andarmi male, ero preparata al peggio ed invece mi devo ricredere. Almeno per il momento. Devo ancora effettuare un cambio veicolo.

Giungo alla stazione dei treni di Pinerolo alle 7:11, in anticipo di una manciata di minuti sulla tabella di marcia, nemmeno il tempo di salutare l’autista e scendere dal mezzo che a questo si accoda il “Diretto Pinerolo-Torino” in partenza alle 7:16. Sorrido di nuovo, questa volta molto più apertamente: sembra che il percorso sia tutto in discesa e privo di intoppi.

Il nuovo bus è completamente vuoto e pronto ad accogliere i viaggiatori, per cui posso anche scegliere il posto ove accomodarmi; peccato sia appena arrivato dalla rimessa e sia per questo motivo un po’ freddo, ma non mi lagno per questo.

Mi siedo, mi calo il cappuccio della giacca sugli occhi e mi addormento con la testa pigiata contro il finestrino. Mi sveglio alcune volte durante il tragitto, perché mi è caduta la borsa, perché il mezzo prende una buca e mi fa sobbalzare, perché mi cola la bavetta dell’assonnato all’angolo della bocca (Tres chic!).

In ultimo, con l’occhio ancora socchiuso di chi è quasi desto, ma non troppo,  scendo alla mia fermata: Corso Turati angolo Corso Somelier – pieno quartiere elegantissimo – Torino City.

Ormai, la parte che ritenevo essere difficile del mio tragitto è terminata: mi attende soltanto una fermata di tram, il 4, per arrivare in ufficio. In orario spaccato. Potrei andare a piedi, in fondo è solo una fermata, 2 isolati appena, ma fa freddo e c’è vento e nevica di brutto, quindi vorrei evitare di camminare nella bufera

Attraverso la strada ed accedo alla pensilina del 4 in direzione “Caio Mario”, sono le 8:21. Il display sulla palina della fermata lo conferma e mi informa del prossimo passaggio del tram atteso: 8:36. Sono indispettita: 15 minuti per un mezzo pubblico che dovrebbe passare ogni 5.

Attendo. Il display cambia “4 alle 8:38”. Il mio umore peggiora.

Attendo ancora: “4 alle 8.46”.

Sono le 8:24. Mi avvio a piedi, lanciando anatemi. E con me molti altri.

Ritengo sia inaccettabile: viaggio per 50 chilometri su pullman con una certa “anzianità di servizio”, in condizioni meteo avverse e sono in perfetto orario; arrivo in città, nel capoluogo di Regione, in Torino City e un tram, venduto come l’avanguardia della “metropolitana leggera” che serve l’intera Cittadinanza, è in un ritardo epico, senza uno straccio di motivo.

In fondo mi ritengo fortunata: io avrei dovuto usufruire del mezzo per una fermata soltanto, ma penso a chi prende il 4 alla Falchera, quartiere periferico all’estremo Nord della città e va fino a Piazzale Caio Mario, all’apice opposto, con la sola colpa di lavorare alla FIAT o da qualche altra parte lì intorno

A queste persone va tutta la mia comprensione e la mia più profonda stima: io non sarei in grado di avere tanta costanza e mitezza: al terzo ritardo io avrei incitato gli utenti alla rivolta e con ogni probabilità l’avrei anche capitanata.

Di contro, non posso che essere piacevolmente colpita dal trasporto pubblico extraurbano: ho viaggiato bene, in orario, al calduccio e su un mezzo pulito!